L’accordo commerciale raggiunto a fine ottobre 2025 tra l’amministrazione Trump e Pechino rappresenta una tregua tattica, non una svolta strategica.
Il compromesso, formalizzato dopo gli incontri tra Donald Trump e Xi Jinping a margine del summit ASEAN a Kuala Lumpur e poi a Busan, ha avuto un obiettivo primario: disinnescare la bomba tariffaria del 1° novembre, che avrebbe portato all’imposizione di dazi del 100% su un ampio paniere di importazioni cinesi, con effetti potenzialmente sistemici sul commercio globale e sull’inflazione USA.
Obiettivo immediato: neutralizzare l’escalation tariffaria
La Cina ha ottenuto la sospensione delle nuove misure punitive, mentre gli Stati Uniti hanno ricevuto in cambio l’impegno a rinviare per almeno 12 mesi le restrizioni sull’export di minerali critici — un settore in cui Pechino mantiene un dominio strutturale e una leva strategica.
Il risultato pratico è stato un sollievo immediato per i mercati, ma il compromesso non affronta in alcun modo le cause profonde del conflitto economico USA-Cina.
È quindi una tregua funzionale al contenimento del rischio politico, non un passo verso la stabilizzazione del quadro geopolitico.
Contesto 2025: la fase più aggressiva della guerra commerciale
Il secondo mandato Trump ha riattivato una dinamica di escalation tariffaria iniziata nel 2018.
Nel 2025, i dazi complessivi su beni cinesi hanno raggiunto un livello stimato del 145%, dopo una serie di misure cumulative che hanno colpito settori chiave come elettronica, veicoli elettrici, batterie, componentistica industriale e beni intermedi.
Il punto di rottura è stato l’annuncio del dazio addizionale del 100%, che ha costretto le delegazioni a un negoziato accelerato sotto minaccia di paralisi commerciale globale.
Il ruolo di Scott Bessent e la leva tariffaria USA
Il Segretario al Tesoro Scott Bessent ha rivendicato apertamente la strategia: la minaccia tariffaria estrema era una leva negoziale per ottenere concessioni selettive.
Gli Stati Uniti hanno offerto tre contropartite:
- Cancellazione del dazio del 100% previsto per il 1° novembre
- Riduzione del 50% della precedente tariffa del 20% legata al fentanyl trade war
- Sospensione temporanea di nuovi export controls tecnologici
In cambio, Pechino ha bloccato indagini ostili contro varie big tech statunitensi (Broadcom, Intel, Micron, Nvidia, Qualcomm, Texas Instruments) e ha ripristinato acquisti agricoli mirati (semi di soia, cereali).
Il vero baratto geopolitico: Terre Rare in cambio di dazi
La componente strategica dell’accordo riguarda i minerali critici e terre rare, indispensabili per difesa, semiconduttori, batterie, radar, motori elettrici, aerospazio.
Pechino ha concesso una tregua annuale rinegoziabile sul blocco all’export, evitando così di innescare una crisi industriale USA nel settore energetico e militare.
Washington, in cambio, ha congelato qualsiasi nuova tariffazione o restrizione nel comparto dei materiali strategici.
Il messaggio macro è chiaro: la guerra economica è entrata nella fase delle risorse strategiche, non più solo dei beni di consumo.
Il nodo irrisolto: la mancata “Fase Due”
Come nel 2020, anche la tregua del 2025 evita completamente i temi strutturali:
- sussidi di Stato e distorsioni competitive
- ruolo dominante delle SOE (State-Owned Enterprises)
- overcapacity industriale forzata dall’intervento pubblico
- impossibilità di competizione simmetrica per aziende occidentali
- assenza di apertura reale del mercato interno cinese
La Fase Due, che doveva correggere alla radice il modello industriale cinese, è stata abbandonata per ragioni politiche e strategiche.
La Cina considera questi elementi parte integrante del proprio sistema di sicurezza nazionale, quindi non negoziabili.
La conseguenza è evidente:
l’accordo di ottobre 2025 è un’operazione di gestione del rischio, non di soluzione del conflitto.
Tregua tattica, guerra strutturale invariata
Il sollievo dei mercati è reale, ma temporaneo.
Le fratture sistemiche della competizione USA-Cina — tecnologica, industriale, militare e macro-strategica — restano intatte.
Il compromesso 2025 è quindi:
- una pausa, non una pace
- un rallentamento tattico, non una riconciliazione strategica
- una sospensione della guerra commerciale, non la sua conclusione
Il rischio di nuova escalation nel 2026 resta elevato, soprattutto se la Casa Bianca dovesse ritenere insufficienti le concessioni cinesi o se Pechino decidesse di usare militarmente la leva delle risorse critiche.
