L’attuale scenario macroeconomico statunitense è dominato da una politica monetaria ambigua della Federal Reserve e da un insieme crescente di vulnerabilità finanziarie che alimentano i timori di un nuovo credit crunch nel 2026.
I segnali di stress sono molteplici: banche regionali in difficoltà, aumento dei tassi di morosità sui prestiti al consumo (carte di credito e auto) e un mercato del lavoro in progressivo deterioramento.
Il fattore decisivo resta il cosiddetto “Muro delle Scadenze” (Maturity Wall) del debito corporate e Commercial Real Estate (CRE), previsto per il 2026: il rifinanziamento a tassi elevati rischia di innescare una catena di insolvenze che potrebbe testare la solidità del sistema bancario americano.
Il sistema si trova già in una fase di credit squeeze — una contrazione severa dell’offerta di credito — e la transizione verso un vero credit crunch, ovvero un blocco sistemico del credito, è ormai una possibilità concreta.
Il paradosso della politica monetaria della Fed: tra QT, tassi e ambiguità strategica
L’annuncio della Federal Reserve sulla conclusione del Quantitative Tightening (QT) il 1° dicembre è stato accolto dal mercato come un segnale potenzialmente dovish, ma in realtà nasconde una logica di mera gestione tecnica della liquidità.
Dal 2022, il QT ha ridotto il bilancio della Fed da 9 trilioni a circa 6,6 trilioni di dollari, drenando riserve dal sistema e inasprendo le condizioni finanziarie.
Il Presidente Jerome Powell ha precisato che eventuali acquisti di obbligazioni saranno “limited in size” e finalizzati solo a mantenere la stabilità delle riserve, non a riavviare un nuovo ciclo di Quantitative Easing (QE). Tuttavia, questa distinzione non elimina la confusione: la Fed continua a inviare segnali misti al mercato, accentuando l’incertezza sulle reali intenzioni di politica monetaria.
Tassi d’interesse e mercato del lavoro: il dilemma di Powell
Dopo il taglio di 25 punti base a ottobre 2025 (fed funds al 3,75–4,00%), la Fed ha ribadito la propria prudenza sui futuri interventi. Powell ha frenato le aspettative di un ulteriore taglio a dicembre, riducendo la probabilità implicita al 70%.
Il timore principale è che l’inflazione resti “somewhat elevated”, spingendo la Fed a rimanere “behind the curve” — troppo lenta nell’allentare la politica monetaria mentre l’economia reale si indebolisce.
Il mercato del lavoro USA mostra segnali di fatica strutturale: solo +22.000 nuovi posti non agricoli ad agosto e una media mensile di 27.000 da aprile, livelli definiti dagli analisti come “stall speed”. Il tasso di disoccupazione U-6 è salito all’8,1%, e i salari reali settimanali sono scesi dello 0,68% YoY, con i giovani lavoratori particolarmente colpiti.
Il deterioramento della qualità e del reddito occupazionale erode la capacità di servicing del debito, rendendo più vulnerabili i consumatori e aumentando il rischio di default nel credito al consumo.
Morosità in aumento: carte di credito e prestiti auto sotto pressione
Il debito non ipotecario ha raggiunto nuovi massimi, con 1,21 trilioni di dollari di saldo sulle carte di credito e 1,66 trilioni sui prestiti auto nel Q2 2025.
Il tasso di morosità oltre i 90 giorni sui prestiti auto è salito al 4,99%, superando il picco pre-pandemia del 2019 (4,94%).
Si tratta di un segnale chiaro che le famiglie stanno utilizzando debito a breve e ad alto costo per compensare la perdita di potere d’acquisto.
Carte di credito e prestiti auto, essendo non garantiti o con collaterale deperibile, sono i primi segmenti a riflettere stress sistemico e segnali di credit tightening.
Il Maturity Wall 2026 e il rischio di contagio nel debito corporate e CRE
Il rifinanziamento del debito corporate e immobiliare commerciale rappresenta la principale minaccia per la stabilità creditizia del 2026.
Molti prestiti CRE originati a tassi del 3,9% dovranno essere rinnovati a tassi vicini al 6,6%, con un aumento medio di 270 punti base.
Per le società Investment Grade, il costo del funding in scadenza nel 2026 crescerà di circa 150 punti base, mentre per il debito High Yield (categorie ‘CCC’/‘C’) si parla di un volume in scadenza di 79,2 miliardi di dollari.
L’espansione dello spread di rischio amplifica il peso del debito, soprattutto per i mutuatari vulnerabili.
Senza nuovi afflussi di capitale, molti emittenti rischiano un default tecnico, accelerando la spirale del credit crunch.
La quantità di debito “junk” in scadenza nel 2026 è già più che raddoppiata rispetto a quella del 2025, segnalando un’area di rischio crescente.
Da Credit Squeeze a Credit Crunch: il punto di non ritorno
Secondo i dati del Senior Loan Officer Opinion Survey (SLOOS) del Q2 2025, gli standard di prestito bancari sono ai livelli più restrittivi dal 2008.
Ciò indica che gli Stati Uniti si trovano già in una fase di credit squeeze estremo: la contrazione dell’offerta di credito è generalizzata, ma non ancora bloccata.
Il passaggio verso un vero credit crunch avverrà quando la fiducia sistemica si incrinerà — bastano pochi default di peso nel Commercial Real Estate o nel corporate high yield per innescare un effetto domino.
Il peggioramento del mercato del lavoro, combinato con l’aumento della morosità sui prestiti al consumo, rafforzerà la prudenza bancaria.
Questo effetto moltiplicatore ridurrà ulteriormente l’offerta di credito e aumenterà la probabilità di recessione da contrazione finanziaria.
Prospettive e probabilità di crisi: il rischio sistemico non ha ancora toccato il picco
L’analisi complessiva suggerisce che il rischio di credit crunch nel 2026 è concreto, anche se non ancora preponderante.
Il consenso tra gli analisti di J.P. Morgan, IMF e Goldman Sachs colloca la probabilità di una recessione profonda attorno al 40%, ma la contrazione del credito resta il principale rischio di downside per l’economia americana.
La Fed si trova intrappolata nel suo dual mandate: tagliare i tassi troppo tardi per evitare una crisi occupazionale significherebbe arrivare al 2026 con un sistema bancario indebolito, mentre l’aumento degli spread di rischio neutralizzerebbe in gran parte i benefici di eventuali tagli.
In un contesto di refinancing stress, credit tightening e consumatori fragili, il 2026 rischia di diventare l’anno in cui il “Muro delle Scadenze” metterà definitivamente alla prova la solvibilità del sistema finanziario americano.
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