Mentre alla Camera dei Rappresentanti prosegue l’iter del cosiddetto Big Beautiful Bill di Donald Trump, i mercati tornano a prezzare con maggiore attenzione i rischi sistemici legati al dollaro statunitense e al mercato dei Treasury americani.
Nella giornata di ieri, chiusa con indici pressoché invariati sia sul fronte azionario che su quello obbligazionario, l’attenzione degli operatori si è concentrata più sull’evoluzione del pacchetto fiscale repubblicano che sul downgrade del rating USA da parte di Moody’s. La percezione è che il rischio reale per le valute e i bond americani derivi dal disegno di legge di bilancio che, se approvato, entrerà in vigore da settembre 2025.
Il pacchetto, sostenuto dalla maggioranza repubblicana, prevede l’estensione dei tagli fiscali introdotti nel 2017 e nuovi interventi di riduzione della spesa pubblica, inclusi tagli significativi a Medicaid e agli incentivi per le energie rinnovabili. Secondo il Joint Committee on Taxation (JCT), la proposta peserebbe per oltre 5.000 miliardi di dollari sul deficit nazionale nei prossimi dieci anni. Solo l’estensione delle riduzioni fiscali individuali comporterebbe un mancato gettito superiore ai 2.000 miliardi entro il 2034.
Al contempo, il disegno di legge prevede un recupero parziale sul fronte delle uscite pubbliche: circa 1.900 miliardi deriverebbero da tagli agli incentivi per l’energia pulita, norme più restrittive sul Medicaid, e una revisione delle detrazioni fiscali legate al Clean Energy Program. Il saldo netto del pacchetto, secondo le stime attuali, ammonterebbe a 3.700 miliardi di dollari di nuovo debito federale.
La legge prevede inoltre una graduale eliminazione dei crediti d’imposta per veicoli elettrici (EV tax credits) entro due anni, e per le energie rinnovabili entro il 2032. Non meno rilevanti sono le riforme al sistema sanitario: la revisione del Medicaid, con l’introduzione di requisiti lavorativi obbligatori per gli adulti senza figli, potrebbe portare alla perdita della copertura sanitaria per oltre 10 milioni di cittadini entro il 2034.
La FED osserva, pronta a intervenire
La Federal Reserve si mantiene vigile. L’istituto guidato da Jerome Powell valuta l’impatto dei nuovi dazi sull’inflazione prima di procedere con eventuali tagli ai tassi di interesse (Fed Funds). Tuttavia, la banca centrale ha ancora strumenti a disposizione per sostenere il mercato obbligazionario americano in caso di shock.
Tra questi, un’ipotesi concreta è l’attivazione di un Quantitative Easing selettivo, con l’acquisto di Treasury “off-the-run” – ovvero quelli meno liquidi e più penalizzati dalle vendite – accompagnato da strategie di copertura in futures, per evitare effetti distorsivi sul basis trade (long Treasury, short future/swap).
La FED potrebbe inoltre concedere un alleggerimento temporaneo dei requisiti patrimoniali alle banche (relativi ai capital ratio), facilitando l’assorbimento dei titoli governativi senza penalizzazioni regolamentari. Per mitigare eventuali pressioni esterne, l’istituto centrale americano valuta anche il riattivarsi di linee di swap in dollari con altre banche centrali, prevenendo carenze di liquidità offshore e sostenendo l’equilibrio del dollar funding market.
L’obiettivo? Evitare che il timore d’inflazione dovuto ai dazi costringa la Fed a mantenere i tassi fermi troppo a lungo, con il rischio di irrigidire eccessivamente le condizioni finanziarie, frenando la crescita economica e innescando un credit crunch generalizzato.
Treasuries, Dollar Index ed effetto valuta: i mercati osservano
Nonostante le tensioni, i mercati obbligazionari e valutari non mostrano ancora segnali di panico. I rendimenti del Treasury Note decennale (10yr) restano da mesi all’interno di un ampio trading range, senza confermare i rialzi tanto discussi nei media finanziari. Il Treasury 30yr ha nuovamente mancato la rottura della soglia critica del 5%.
Sul fronte valutario, il Dollar Index sembra aver esaurito il proprio pullback, lasciando intravedere un potenziale ritorno della debolezza del biglietto verde. Analogamente, il cambio EUR/USD mostra segnali di inversione, con possibili implicazioni negative per gli investitori europei esposti a strumenti obbligazionari denominati in dollari.
Qualsiasi intervento espansivo della FED – che sia un nuovo QE o un alleggerimento regolamentare – aumenterebbe l’offerta di dollari sul mercato, contribuendo a un ulteriore indebolimento della valuta statunitense. Un fattore critico per chi investe in bond USA da Eurolandia, soprattutto in ETF obbligazionari in USD, che potrebbero subire un doppio colpo: dalla volatilità dei tassi e dal cambio sfavorevole.
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