L’Antefatto
Tutto è partito da un lancio dell’autorevole agenzia di stampa Reuters di mercoledì 5 giugno, in cui si leggeva che l’Arabia Saudita aveva aderito a un esperimento transfrontaliero sulla valuta digitale della banca centrale dominata dalla Cina.
Questo annuncio è stato interpretato come un altro passo verso una riduzione del commercio petrolifero mondiale effettuato in dollari USA. La mossa, annunciata dalla Banca dei regolamenti internazionali, vedrà la banca centrale saudita diventare un “partecipante a pieno titolo” del progetto mBridge, una collaborazione lanciata nel 2021 tra la BRI, un’organizzazione ombrello di banche centrali globali che supervisiona il progetto.
Da quel momento, le storie sul crollo di un accordo di lunga data sul “petrodollaro” tra gli Stati Uniti e l’Arabia Saudita si sono diffuse a macchia d’olio sui social media. Tuttavia, l’accordo non è mai esistito.
Sembrava una grande notizia e molti si chiedevano perché i media mainstream l’avessero apparentemente ignorata. All’inizio della settimana, rapporti circolati su piattaforme di social media come X hanno fatto un annuncio scioccante: un accordo di 50 anni tra gli Stati Uniti e l’Arabia Saudita richiedeva che quest’ultima stabilisse il prezzo del suo greggio in dollari USA e che tale accordo era terminato.
Questo avrebbe inevitabilmente assestato un colpo fatale allo status del dollaro USA come valuta di riserva globale, secondo vari commentatori su X. Immediatamente, secondo i dati di Google Trends, le ricerche su Google per il termine “petrodollaro” hanno raggiunto il livello più alto mai registrato dal 2004.
Una Fake News Ripetuta a Catena su Twitter e Google
Dopo giorni di speculazioni su un’imminente fine del dominio globale del dollaro americano, diversi esperti di Wall Street e di politica estera hanno dimostrato che questo assunto si basava su un errore fatale, perché l’accordo in sé non era mai esistito.
In un post sul blog pubblicato venerdì 14 giugno, Paul Donovan, capo economista di UBS Global Wealth Management, ha spiegato, dati alla mano, che nel giugno del 1974 fu firmato un accordo, ma non aveva nulla a che fare con le valute, perché da allora i sauditi continuarono a vendere in sterline.
L’accordo a cui fa riferimento Donovan è la Commissione congiunta Stati Uniti-Arabia Saudita per la cooperazione economica, elaborata dopo la fine dell’embargo petrolifero dell’OPEC del 1973. L’anno dopo, nel 1974, sia gli Stati Uniti che l’Arabia Saudita decisero di concretizzare un accordo più formale che fosse di reciproca soddisfazione e coerente con gli obiettivi di entrambe le parti.
Il Vero Accordo sui Petrodollari
L’Arabia Saudita disponeva di un forte surplus di dollari ed era ansiosa di sfruttare questa ricchezza per industrializzare ulteriormente la propria economia oltre il settore petrolifero, mentre gli Stati Uniti volevano rafforzare le relazioni diplomatiche con l’Arabia Saudita, incoraggiando al tempo stesso il paese a reinvestire i propri dollari nell’economia statunitense.
Secondo Donovan e altri autorevoli commentatori, un accordo formale che imponesse all’Arabia Saudita di fissare il prezzo del suo petrolio greggio in dollari, in realtà non è mai esistito.
Il vero accordo sui c.d. petrodollari fu invece un accordo segreto tra gli Stati Uniti e l’Arabia Saudita raggiunto alla fine del 1974, che prometteva aiuti militari e attrezzature in cambio dell’investimento da parte dell’Arabia Saudita di miliardi di dollari dei proventi delle vendite di petrolio nel Tesoro degli Stati Uniti.
L’esistenza di questo accordo è rimasta segreta per più di 40 anni, fino a quando, nel 2016, Bloomberg News ha presentato una richiesta al Freedom of Information Act agli Archivi Nazionali, portando il Dipartimento del Tesoro a pubblicare per la prima volta una serie di dati che hanno messo in luce come l’Arabia Saudita sia tra i maggiori detentori di US Treasury Bonds e obbligazioni corporate, anche se le fonti di Bloomberg avrebbero affermato che i dati ufficiali probabilmente sottostimavano le riserve totali in dollari del Regno.
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