Il presidente della FED Jerome Powell venerdì ha disatteso le aspettative del mercato che si aspettava un segnale che indicasse prossimi tagli aggressivi dei tassi di interesse.
Powell ha affermato che il Federal Open Market Committee intende “mantenere una politica restrittiva” fino a quando non sarà chiaro l’inflazione sta tornando al 2% in modo permanente.
Powell ha aggiunto che la FED è pronta a inasprire ulteriormente la politica se sarà opportuno farlo, sottolineando però che la politica monetaria è già in territorio restrittivo e che andranno valutati attentamente tutti i rischi.
Ricordiamo che la FED ha il duplice mandato di combattere l’inflazione e favorire la crescita economica, Il prossimo incontro della Fed è il 12-13 dicembre.
“Le forti azioni che abbiamo intrapreso hanno spostato il nostro tasso di riferimento in territorio restrittivo, il che significa che la politica monetaria restrittiva sta esercitando una pressione al ribasso sull’attività economica e sull’inflazione”, ha affermato Powell. “Si ritiene che la politica monetaria influenzi le condizioni economiche con un certo ritardo, e probabilmente gli effetti completi del nostro inasprimento non sono ancora stati avvertiti”.
Malgrado le affermazioni di Powell, i mercati si sono mossi al rialzo, mantenendo le aspettative che la Fed abbia finito di aumentare i tassi e sia pronta ad abbassarli già nel corso del 2024.
Sono state proprio queste aspettative che hanno contribuito a sostenere un forte rally di Wall Street che ha fatto salire il Dow Jones Industrial Average di circa il 10% nel mese di novembre, riportandosi ai massimi di luglio 2023.
Come si sta muovendo l’economia nell’ultimo trimestre 2023?
In attesa del dato sul mercato del lavoro, un rapporto del Dipartimento del Commercio di giovedì ha mostrato che l’indice PCE, cioè i prezzi delle spese per consumi personali, l’indicatore di inflazione preferito dalla Fed, sono aumentati del 3% rispetto a un anno fa, ma del 3,5% su base core che esclude la volatilità dei prezzi di cibo ed energia.
I recenti forti cali del settore energetico sono stati responsabili di gran parte dell’allentamento dell’inflazione.

Secondo i dati PMI di S&P Global, le condizioni dell’attività manifatturiera statunitense sono peggiorate a novembre.
La produzione è rimasta in gran parte stagnante a causa del deterioramento dei nuovi afflussi di ordini, il che significa che gli ordini arretrati sono diventati sempre più esauriti.
Sebbene esistano alcuni segnali incoraggianti del fatto che il ciclo delle scorte agisce da freno minore sul settore della produzione di beni, il peggioramento generale della situazione della domanda ha spinto i produttori a tagliare i numeri delle buste paga per il secondo mese consecutivo: si tratta del primo calo consecutivo di questo tipo dell’occupazione osservato dal 2009 se si escludono i primi mesi della pandemia.
Dal punto di vista dell’inflazione, il contesto debole della domanda e la riduzione delle pressioni salariali provenienti dal settore manifatturiero, combinati con i recenti cali del prezzo del petrolio, hanno portato a una riduzione dell’inflazione dei costi di produzione e dei prezzi di vendita a novembre, con entrambi i tassi ben al di sotto delle medie pre-pandemia.
L’indice PMI principale, un indice composito basato su cinque sottoindici di sondaggi, è sceso da 50,0 di ottobre a 49,4, suggerendo un contributo minimo, se non nullo, al PIL del quarto trimestre da parte del settore produttivo dei beni.
Gli ordini sono infatti aumentati solo in tre degli ultimi 18 mesi, riflettendo un periodo prolungato di domanda contenuta post-pandemia, a sua volta legata al fatto che i consumatori hanno spostato la loro spesa verso servizi come viaggi e attività ricreative, e che i clienti aziendali hanno ridotto le scorte in eccesso che erano state accumulati durante le preoccupazioni sull’approvvigionamento della pandemia.
I mercati sono allineati con la politica della FED?
Riteniamo che un potenziale imminente passaggio da un’inflazione elevata a una deflazione presenti in questo momento per gli investitori un’opportunità molto interessante, adeguata al rischio.
Non bisogna però sottovalutare che ci sono anche forti ragioni per sostenere un’inflazione vischiosa in futuro, e dovremmo quindi essere cauti nell’abbracciare pienamente la narrativa della deflazione.
Uno dei motivi per preoccuparsi di un’inflazione persistentemente elevata negli anni a venire include gli sforzi di “de-globalizzazione” come le sanzioni commerciali e la riduzione della dipendenza dai prodotti esteri, che portano ad un aumento dei costi e a misure di ritorsione da parte dei paesi colpiti.
Inoltre, la spirale salari-prezzi, in cui l’elevata inflazione spinge ad aumenti salariali, alimenta ulteriormente l’inflazione, in particolare nelle economie basate sui servizi.
In terzo luogo, l’elevata liquidità nei mercati globali, risultato dell’allentamento quantitativo dopo la crisi finanziaria del 2008, ha gonfiato i valori degli asset e limitato la capacità delle banche centrali di combattere l’inflazione con aumenti dei tassi di interesse.
Gli ultimi dati economici spingono per un forte rallentamento economico che potrebbe aiutare la FED a non alzare più i tassi e ad abbassarli se si materializzasse una recessione.
Quindi, i mercati sono dalla parte giusta nel precedere la fine della politica restrittiva, ma non calcolano pienamente l’effetto negativo di un rallentamento economico sugli earnings, che alla fine potrebbe pesare più negativamente dell’effetto positivo derivante dall’abbassamento dei tassi di interesse.
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