Dal rapporto Istat sull’andamento finale del PIL del II trimestre 2023 emergono alcuni elementi interessanti, che possono condizionare i prossimi trimestri.

Nel secondo trimestre del 2023 il prodotto interno lordo (Pil) è diminuito dello 0,4% rispetto al trimestre precedente ed è cresciuto YoY dello 0,4% nei confronti del secondo trimestre del 2022.
Per dare un termine di paragone a livello internazionale, nel secondo trimestre, il Pil è cresciuto dello 0,6% negli Stati Uniti, dello 0,5% in Francia ed è rimasto stabile in Germania.
Sui dati YoY (su base annuale), si è registrata una crescita del 2,6% negli Stati Uniti e dello 0,9% in Francia, mentre si registra una diminuzione dello 0,1% in Germania.
Nel complesso, il Pil dei paesi dell’area Euro è cresciuto dello 0,3% rispetto al trimestre precedente e dello 0,6% nel confronto con il secondo trimestre del 2022.
La tendenza del Pil italiano è chiaramente al ribasso
La crescita tendenziale del secondo trimestre rispetto allo stesso trimestre del 2022 è stata di 0,4%, in flessione rispetto ai trimestri precedenti, con una revisione anche al ribasso rispetto alla stima preliminare, che prevedeva una crescita dello 0,6%.
La flessione del Pil è stata determinata soprattutto dalla domanda interna, mentre quella estera ha fornito un contributo nullo.
Il dato sarebbe stato ancora peggiore, se non ci fosse stata una variazione positiva delle scorte.
Sul piano interno, l’apporto dei consumi privati è stato anch’esso nullo, mentre sia quello della spesa delle Amministrazioni Pubbliche sia quello degli investimenti è risultato negativo

Grazie ai dati dei trimestri precedenti, soprattutto a quello del IV trimestre 2022, la variazione acquisita per il 2023 è pari a +0,7%, ma i dati tendenziali mostrano una discesa che potrebbe velocemente annullare questo dato positivo.
Il trend in discesa si vede ancora più chiaramente dal fatto che la stima del Pil diffusa in via preliminare il 31 luglio 2023 era stata di una riduzione congiunturale dello 0,3% e di una crescita tendenziale dello 0,6%.

Se si confrontano i dati del II trimestre 2023 con quelli del trimestre precedente, tutti i principali aggregati della domanda interna sono in diminuzione, con un calo dello 0,3% dei consumi finali nazionali e dell’1,8% degli investimenti fissi lordi.
Le importazioni e le esportazioni sono anch’esse diminuite, entrambe in misura pari allo 0,4%.
La domanda interna è troppo bassa perché i salari, al netto dell’inflazione, sono troppo bassi
Il dato preoccupante è che la domanda nazionale al netto delle scorte ha sottratto 0,7 punti percentuali alla variazione del Pil: nullo il contributo dei consumi delle famiglie e delle Istituzioni Sociali Private ISP, -0,4 quello degli investimenti fissi lordi e -0,3 quello della spesa delle Amministrazioni Pubbliche (AP).
Per contro, la variazione delle scorte ha contribuito positivamente alla variazione del Pil per 0,3 punti percentuali, mentre il contributo della domanda estera netta è risultato nullo.
Si registrano andamenti congiunturali negativi per il valore aggiunto in tutti i principali comparti produttivi, con agricoltura, industria e servizi diminuiti rispettivamente dell’1,3%, dell’1,4% e dello 0,1%.
La famosa frase ”mentre il Senato discute, Annibale espugna Sagunto” fotografa alla perfezione la situazione attuale, in cui la discussione politica sull’innalzamento del salario minimo è condotta puramente a livello ideologico, mentre i consumi diminuiscono perché i salari vengono costantemente erosi dall’inflazione che è una potente tassa occulta per i lavoratori dipendenti a stipendio fisso.
Nei prossimi trimestre ci sarà anche l’impatto negativo della riduzione del reddito cittadinanza e probabilmente della mancata indicizzazione delle pensioni.
Il Pil italiano è fatto per più di 2/3 da consumi e i consumi interni sono in discesa, proprio quando anche la domanda estera è in diminuzione
Effetto boomerang del superbonus 110% appena agli inizi
La diminuzione degli investimenti è stata determinata dalla spesa per abitazioni e per fabbricati non residenziali e altre opere, ridottesi rispettivamente del 3,4% e del 3,8%, da quella per impianti, macchinari e armamenti scesa dello 0,2%.
Questi dati dimostrano come il superbonus del 110% avesse gonfiato il PIL degli ultimi 2 anni e che nei prossimi mesi si vedrà un boomerang che tenderà a deprimere la crescita complessiva del PIL.
Per quanto riguarda la spesa per armamenti, malgrado le insofferenze di alcuni settori della politica, i dati del PIL fotografano una situazione in discesa e rimangono ben al di sotto del target percentuale sul PIL richiesto dalla NATO.
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