Lo scenario negativo propugnato dalla frangia più pessimista di analisti e strategisti di Wall Street è che la crisi bancaria iniziata col fallimento della Silicon Valley Bank (SVB) del 10 marzo causerà la stretta creditizia tale da provocare una recessione quest’anno, sostengono gli orsi, e prima piuttosto che dopo.
In questo scenario la liquidità si sposterebbe dai depositi bancari verso i titoli del Tesoro più sicuri e con rendimenti maggiori dei depositi, tanto che le banche sarebbero costrette a limitare il volume dei prestiti, provocando una stretta creditizia, un vero proprio “credit crunch”, fenomeno che in passato ha sempre causato recessioni importanti.
La recessione paventata dal partito dei pessimisti dovrebbe causare una forte contrazione, sia del multiplo di valutazione P/E forward che era salito dal minimo di 15,1 del 12 ottobre 2022 all’attuale 17,5, sia degli utili dell’S&P 500 che dovrebbero scendere del 15% a $ 185 per azione a fine 2023, in calo rispetto ai $ 218 di fine 2022.
Le ragioni di chi considera poco probabile una stretta creditizia
All’opposto parecchi analisti e strategist ritengono che la crisi bancaria possa essere contenuta grazie alle azioni intraprese finora dalla Fed e dalla FDIC, che sono sicuramente pronte a mettere in atto altre misure di contenimento del contagio, se necessario.
Intanto, domenica 12 marzo la Fed ha fornito una nuova linea di liquidità di emergenza per le banche, il Bank Term Funding Program (BTFP, che offre prestiti fino a un anno di durata agli istituti di deposito che impegnano titoli del Tesoro USA, debito di agenzia e titoli garantiti da ipoteca e altri beni idonei come garanzia.
Questo consentirà alle banche di avere un’importante fonte di liquidità, riducendo drasticamente la necessità di vendere rapidamente tali titoli in periodi di stress.
La FDIC ha stimato che il fallimento di SVB costerà al suo Deposit Insurance Fund (DIF) circa $ 20 miliardi, con l’importo esatto da determinare una volta terminata l’amministrazione controllata.
Ci sarà un vero e proprio Hard landing o è solo un eccesso di pessimismo?
Senza sposare nessuna delle due tesi in modo aprioristico, bisogna per il momento prendere atto che la forza dell’economia deli U.S.A. è stata in grado di assorbire la politica monetaria restrittiva della che ha rialzato i tassi in modo aggressivo e distrutto liquidità col Quantitative Tightening perché aveva sottovalutato la crescita dell’inflazione e doveva affrettarsi per recuperare.
L’indice S&P 500 è sceso del 25,4% dal 3 gennaio al 12 ottobre dello scorso anno e contemporaneamente abbiamo assistito ad un crollo del 29,8% nel P/E forward dell’S&P 500.
Nonostante tutto però gli utili per azione forward dell’indice SP500 sono aumentati del 6,2% durante il mercato ribassista perché il temuto “hard landing” non si è verificato come previsto dagli orsi e al suo posto ha prevalso uno scenario di crescita con inflazione.
Difficile dire se ci sarà veramente una recessione causata dal “credit crunch”, perché la crisi bancaria sicuramente comprimerà la redditività delle banche regionali, che dovrebbero vedere un calo dei ricavi per azione per il 2023 e il 2024, rispettivamente del 7,0% e del 7,6% e un calo degli utili per azione rispettivamente del 6,3% e del 7,0%.
Per il momento il pericolo di recessione sembra più paventato che reale, ma è presto per poter declassare il rischio ad un semplice eccesso di pessimismo e occorre rimanere cauti.
Dal momento che il miglior leading indicator dell’economia U.S.A è l’indice SP500, se assisteremo ad un semplice rally di primavera, seguito da un classico “sell in may and go away”, rimarrà il rischio che in autunno possa concretizzarsi uno scenario recessivo.
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