È probabilmente in arrivo una recessione negli U.S.A. e gli strategist delle grandi Investment Banks stanno rivedendo le loro stime su crescita e target di fine anno dei mercati azionari.
Al momento la probabilità che si verifichi una recessione viene vista in aumento, ma non è ancora la convinzione dominante degli economisti.

Quelli per cui la recessione è inevitabile
Tra le grandi Investment Banks, la più negativa è decisamente Deutsche Bank che prevede “una grave recessione” tra la fine del 2023 e l’inizio del 2024.
Già in una nota di martedì agli investitori intitolata “Perché la prossima recessione sarà peggiore del previsto” era stata la prima grande banca a prevedere una recessione negli Stati Uniti entro la fine del prossimo anno e nel rapporto di martedì ha accentuato i toni negativi prevedendo una discesa dell’indice SP500 al livello di 3000.

Ugualmente negativo Michael Hartnett , strategist di Bank of America, che sottolinea che “nei 19 cicli ribassisti dei mercati azionari statunitensi negli ultimi 140 anni (il) calo medio dei prezzi è stato del 37,3% e durata media 289 giorni”.
Se ciò dovesse essere ripetuto, il mercato ribassista di oggi terminerebbe il 19 ottobre 2022 con l’S&P a 3.000 e il Nasdaq a 10.000
La recessione non è ancora certa
Goldman Sachs invece ha calcolato due previsioni per l’intero anno per l’S&P 500.
Lo scenario di base è che il benchmark chiuda il 2022 a 4.300, ovvero + 10% dalla chiusura di venerdì.
Lo scenario di base prevede che le aziende saranno in grado di continuare a far crescere i profitti, adattandosi al rallentamento in arrivo.
Il worst (peggior) case scenario è molto più cupo. Implica una recessione totale che colpisce l’economia statunitense e ciò significherebbe un ulteriore discesa del 10% per chiudere il 2022 a 3.600 dell’indice SP500.
Non ci sarà una vera recessione
Un moderato ottimismo arriva da Edward Yardeni, il più noto degli strategist indipendenti, con 40 anni di attività tra FED, Investment Banks e in ultimo la sua società di ricerca.
Yardeni non prevede una recessione e una diminuzione degli utili, anzi fa un paragone con l’ultima volta che c’è stato un mercato ribassista guidato da un aggiustamento dei P/E mentre gli utili continuavano ad aumentare.
Nel 1987 l’S&P 500 è sceso del 33,5% dal 25 agosto 1987 al 4 dicembre 1987 e il P/E forward è sceso da 14,8 a 10,5, mentre gli utili a termine sono aumentati del 6,3%.
Il mercato ribassista è durato solo 101 giorni di calendario. I rialzi dei tassi riducono il valore attuale degli utili futuri e aumentano il rischio di una recessione.
Il P/E forward dell’S&P 500 è sceso del 18,2% dal 21,4 di inizio anno al 17,5 di venerdì della scorsa settimana “È svanita la convinzione che il P/E forward dell’S&P 500 potesse mantenersi sopra 20,0.
È già sceso intorno a 19.0. Ora stimiamo 16,0 entro la fine dell’anno…
Siamo sulla buona strada per arrivare prima del previsto” dice Edward Yardeni, che dopo la tempesta vede un 2023 in deciso recupero, seguendo il ciclo dell’anno seguente le elezioni di mid term.

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