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Il Recovery Plan, la prima sfida per il neo governo targato Draghi

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Il primo banco di prova del nascente Governo targato Mario Draghi, è senza ombra di dubbio la messa a punto del discusso Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), riguardante la realizzazione di un complesso programma di investimenti e di interventi strutturali, di oltre 200 miliardi di euro, al quale l’Italia dovrà presentare alla Commissione Europea per far fronte alla crisi economica e sociale scaturita dalla pandemia da Covid-19; più noto a tutti come “Recovery Plan” entro il termine stabilito del 30 aprile 2021.

Già all’atto della stesura della prima bozza, nel settembre dell’anno scorso, il Recovery Plan, cosi come fu strutturato non ebbe mai consensi positivi, anzi fu in diverse occasioni criticato da diversi ambienti politici, sociali e produttivi italiani, in quanto era carente ed incompleto soprattutto in alcuni punti salienti, è in realtà proprio la carenza di progettualità del piano di ristrutturazione è stata la causa che ha comportato la crisi del precedente Governo.

Anche a Bruxelles, le prime bozze del Recovery Plan, presentate dal precedente Governo Conte, l’accoglienza non è stata delle migliori, in quanto secondo la Commissione Europea, tutti gli Stati che intendono usufruire dei fondi dovevano fornire informazioni molto dettagliate sia sugli investimenti da porre in essere e sia sulle riforme da attuare, spiegando nei minimi dettagli non solo le riforme da adottare ma anche gli effetti attesi da queste misure su tutto il sistema economico nazionale nel suo insieme, e non focalizzando l’attenzione solo su alcuni settori di interesse come è stato fatto dal precedente Governo italiano.

Il nuovo Recovery Plan

A questo punto, le domande sono d’obbligo: come sarà riformulato il nuovo Recovery Plan con il nuovo Governo Draghi? Ci sarà una stesura ex novo del piano progettuale? Oppure si procederà ad una rielaborazione, soprattutto nelle parti lasciate incomplete, del lavoro svolto dall’ex Governo?

Quel che è certo che sicuramente, ci saranno delle modifiche ed integrazioni sostanziali rispetto a quanto è stato fino adesso progettato dal precedente Governo; tale situazione si legge tra le righe se andiamo a scorrere la lista dei tecnici del nuovo governo ed in particolare sui dicasteri chiave che saranno i protagonisti fondamentali per riformulare il Recovery Plan. In particolare, l’ex Governatore della BCE, ha piazzato le sue pedine di tecnici nei ministeri riguardanti il Tesoro, la Giustizia, ma soprattutto la Transizione economica e Transizione digitale, dicasteri di fondamentale importanza per il “Green Deal” e per la digitalizzazione richiesti dall’Unione Europea.

I pilastri principali dell’agenda di Mario Draghi per riformulare il Recovery Plan saranno fondamentalmente tre: green, digitale e riforme strutturali, con più investimenti e meno bonus, in modo da portare al massimo dei giri il motore italiano della crescita nei prossimi anni. In primo luogo, dovrà esserci un aggiornamento del piano di ripresa, con una maggiore spinta agli investimenti per accelerare la Green Transition, la trasformazione digitale e uno sforzo per colmare il divario infrastrutturale.

Secondariamente, il piano dovrà essere integrato di tutte quelle riforme strutturali raccomandate dall’Unione Europea, come la riforma della pubblica amministrazione e della giustizia che sono visti come passi necessari per aumentare la produttività.

Infine, c’è bisogno di implementare un sostegno alle imprese e al mercato del lavoro, compresa una riforma fiscale per ridurre il cuneo fiscale e misure a sostegno dell’occupazione.

In definitiva, i 209 miliardi di euro, dovranno andare nella direzione che il Presidente del Consiglio li ha definiti come “spesa buona” per differenziarli alla “spesa cattiva”, ovvero la spesa corrente la quale non è utile a costruire il futuro e nemmeno a garantire gli investitori sulla sostenibilità del debito pubblico.

Ma secondo Draghi, che cosa è precisamente la “spesa buona“?

Per spesa buona, Draghi fa riferimento per prima di tutto al capitale umano, ovvero ad una forza lavorativa altamente professionale, più qualificata e con una formazione eccellente; ovviamente per raggiungere tali obiettivi bisogna effettuare investimenti a lunghissimo termine perché si dovrà partire dalla scuola. Insomma, istruzione e giovani, saranno i due principali investimenti produttivi da compiere; inoltre serviranno risorse per evitare e ridurre l’abbandono scolastico, per aumentare il numero dei laureati, soprattutto di quelli che scelgono le materie scientifiche.

Si dovrà investire anche nell’ambito della ricerca, in modo da rafforzare la connessione tra l’Università ed il mondo delle imprese; inoltre il mercato del lavoro andrà riformato totalmente per rendere più favorevole l’incontro tra la domanda e l’offerta.

Di certo, per raggiungere questi obiettivi, Mario Draghi, dovrà imbastire una fitta rete atta alla mediazione tra la parte tecnica del governo e quella prettamente di natura politica; i primi problemi potrebbe incontrarli nella riforma del mercato del lavoro, che abbiamo analizzato in precedenza, il quale potrebbe scontrarsi con il reddito di cittadinanza il quale sarà molto difficile per il nuovo governo procedere ad un suo totale smantellamento; potrebbe essere più probabile una scissione tra un sussidio alla povertà dalle politiche attive del lavoro. Un’altra questione spinosa riguarda gli investimenti infrastrutturali per il quale il principale ostacolo riguardano fondamentalmente le lentezze burocratiche; su questo dovrebbe incidere la struttura di governance del Recovery Plan.

Inoltre, sarà molto difficile per Draghi ricorrere a supemanager, ovvero ad una miriade di tecnici esterni, come era stato ipotizzato dal precedente governo Conte; molto probabilmente si opterà verso un altro modello, alla stessa stregua di quello francese, dove l’attuazione dei punti cardini dal punto di vista infrastrutturale sarà demandato esclusivamente o al ministero dell’Economia, o al Cipe affidandogli maggiori incarichi, oppure ad un Comitato per la programmazione economica presieduto direttamente dal presidente del Consiglio e guidato da una sottosegretario alla presidenza che potrebbe diventare una sorta di ministro per il Recovery. Sulla forma di applicare si vedrà in corso d’opera, ovviamente quel che è certo che molti bonus sicuramente scompariranno, come anche probabilmente i 4,6 miliardi di euro preposti per il Cashback.

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